Alzi la mano se qualcuno di voi, come me, stava aspettando con impazienza il fine settimana prediletto per potersi prendere l’agognata pausa dalla caotica settimana lavorativa ormai definitivamente chiusa: che essa sia stata la miglior parentesi temporale della vostra quotidianità, manna dal cielo grazie alla quale avete ottenuto la facoltà di sfatare il mito imperativo da Mai ‘na gioia perpetuo, o che si sia dimostrata la peggior alleata nelle battaglie da usuale tran tran spianato, serpe in seno di cui, ahimè, non vi siete accorti fin quando non è stato davvero troppo tardi, di fronte all’evidenza di un sabato nell’atto di manifestarsi a pieno, nessuno avrà nulla da recriminare, successi e fallimenti chiusi in un cassetto per dedicarsi completamente all’apertura di un altro, quello in cui, magari, racchiuso con cura e attenzione esponenziali, si protegge un bocciolo che temporeggia un poco per sbocciare il tanto.
Perciò oggi, con l’obiettivo di dar voce a una primavera in anticipo, a seguito di un inizio con la mera presentazione del libro e uno studio particolare sull’ambientazione storica a cura del blog Bookspedia, protratto mediante un focus sui vari personaggi grazie a Chiara in Bookland e una fascinosa passeggiata nel thriller stesso, sia attraverso semplici estratti dell’opera sia tramite i misteriosi luoghi vergati con l’inchiostro, della quale ringraziamo il rifugio letterario Un lettore è un gran sognatore, finendo poi per scoprire, da una parte, nell’accogliente salotto de La Stamberga d’Inchiostro, come sopravvivere alle insidie di Buchenwald e, dall’altra, in un tête-à-tête con Septem Literary, la figura femminile quale è intesa nel testo di Nicola Valentini, con il suo sesto rendez-vous, approda su La Nicchia Letteraria il blogtour con Review Party finale dedicato a Ricorda il tuo nome pubblicato dalla casa editrice Leone Editore, una tappa assai particolare incentrata sulla memoria, quell’illuminante requisito che concede al passato di non sfumare nel nulla e al presente di rifiorire nel tutto, due facce di una stessa medaglia che solo insieme guadagnano la possibilità di plasmare un futuro migliore.
Qual è la prima domanda che uno sconosciuto potrebbe rivolgere al prossimo se, in tale maniera, stessero per identificare l’incontro basilare attraverso cui principiare una conoscenza, si augura, longeva e duratura da ambo le parti?
L’interrogativo Come ti chiami?, alla luce di determinate contingenze ove l’umanità si ritrova implicata, per la maggiore, giorno dopo giorno nel mentre della propria vita, potrebbe impersonare un semplice quesito di poco conto che, saggiato più e più volte nel corso dell’intera esistenza, smarrisce il suo prestigioso valore e assume, al suo posto quale evidente ripiego, l’anonima sfumatura della triviale mediocrità, routine abitudinaria che si espleta nel minor tempo possibile, giusto per riempire la bocca con qualcosa del cui significato forse non si ha ancora la totale comprensione.
Il mio nome? Che importanza ha? Io stesso non sono nemmeno più sicuro che sia quello vero, l’ho dimenticato per troppo tempo, perché a Buchenwald, come in tutti gli altri campi, era obbligatorio dimenticarselo. Ad Auschwitz eri un numero marchiato sull’avambraccio, a Buchenwald eri un numero stampato su di un pezzo di stoffa; l’importante era togliere ai deportati l’identità, il primo rito della liturgia dell’annullamento umano.
In un certo senso, anche una parte degli aguzzini preferiva identificarsi con i numeri, dimenticandosi della propria identità. In guerra i soldati vengono identificati con la matricola militare, così è più facile sfuggire a quegli atti indicibili; era come se, indossando una divisa e nascondendosi dietro una cifra, lasciassero la loro umanità e ciò che erano stati prima della guerra fuori dal lager.
Lì dentro, erano solo soldati che eseguivano ordini.
Eppure, quando si diventa testimoni di brutture indicibili convoglianti verso l’assistere impotenti davanti all’inaudita caduta delle proprie sicurezze, evitando di proferire qualsiasi vocabolo atto a simboleggiare un dissenso in merito poiché, sapendo bene quali conseguenze porterebbe la sopra citata ribellione da manuale, si sceglie volutamente di mantenere basso un profilo già ai livelli minimi storici, l’ordinarietà di una denominazione appena sussurrata acquista, in maniera preponderante, quella levatura di rilievo che sempre è stata custodita con gelosia nei suoi meandri dall’intima segretezza, una proprietà legittima che, strappata dall’anima di appartenenza, viene deturpata da simili indegni e trasformata in un numero, epiteto insanguinato che, marchiando per l’eternità il cuore ricettivo, saprà sottolineare in taluni quanto hanno subito e nei restanti quanto hanno provocato.
All’inizio era stato tentato di dimenticarsi tutto, tenere i ricordi segregati in un angolo della mente, ma era stato inutile: tornavano sempre in superficie, reclamavano giustizia, impedendogli di condurre una vita anche solo apparentemente normale.
E cosa rimane al punto in cui, giunti miracolosamente superstiti dopo l’essere spogliati di tutto, abiti, dignità, nome ed esistenza, si è stati uniformati al singolo, individuo bestiale sia preda sia carnefice in grado di nascondersi all’ombra di cifre schierate come un plotone d’esecuzione allestito per uccidere ipso facto i malcapitati in attesa dell’ultima sentenza dalla palese fine già scritta? La memoria è la gemma rara e preziosa che ognuno potrà annoverare tra le personali suppellettili fino all’esaurirsi degli anni a sé destinati, un’arma a doppio taglio dall’incalcolabile portata che, ferendo con vendetta, trasmette il giusto coraggio di non archiviare e, lambendo con indulgenza, propaga la forza necessaria per voltare pagina.
In fin dei conti, Zakhor, Ricorda!, e non smettere mai di farlo poiché è così che, giustizia alla mano, la morte viene sconfitta e la vita celebrata di nuovo.
[…] doveva provare a fargli capire che non era il solo ad aver subito quelle ferite nel corpo e nell’anima, c’erano passati, purtroppo, molti altri. Poteva farcela, poteva guarire e riprendersi la propria vita; non sarebbe stata più quella di un tempo, non lo sarebbe stata per nessuno dei sopravvissuti, ma poteva imparare a convivere con le ferite e con i ricordi.
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